Dante Lepore, editore e animatore di PonSinMor, è mancato nella notte del 21 dicembre.
Ricordiamo qui il compagno Dante Lepore con una testimonianza provienente dall’interno della tendenza internazionalista rivoluzionaria in formazione, ai cui lavori Dante partecipava con impegno assiduo.
Per noi è una grave perdita. Ma la sua lunga, intensa militanza, fedele alla causa dell’internazionalismo rivoluzionario, è viva. E resterà viva. Perché Dante, pur avendo vissuto le difficoltà, le peripezie, le cocenti delusioni di tutti i compagni e le compagne della sua generazione, ha sempre conservato fresca, giovanile, in sé la passione per la lotta al sistema sociale capitalistico. E questa passione ci ha trasmesso sia con la sua presenza nelle situazioni di conflitto, sia con i suoi scritti.
Tra le “agitazioni studentesche (…) nel liceo in provincia di Foggia contro il fascistume locale dei ’figli di papà’ e in appoggio alle rivendicazioni bracciantili” di inizio anni ’60 (è lui stesso a parlarne in una intervista ad Attilio Folliero) e le recenti dimostrazioni e picchetti a cui non è voluto mancare, passa più di mezzo secolo di appartenenza politica e fisica al movimento operaio, alle lotte operaie e proletarie.
Specie negli ultimi decenni, questa appartenenza è stata, per lui, una fonte costante di interrogativi teorici e politici a cui rispondere. Ed ecco che alla nascita del movimento per il salario garantito a Torino, Dante affianca una critica di classe rigorosa, stringente del “reddito universale”, alla fine della quale delle argomentazioni degli epigoni italiani e francesi dell’ “operaismo” non resta in piedi assolutamente nulla.
E dalle coraggiose lotte dei facchini della logistica prende spunto per mettere a nudo, nella sua ultima fatica, "Schiavitù del terzo millennio", il contenuto sostanzialmente schiavistico del rapporto di lavoro salariato glorificato invece dai suoi difensori come libero, dignitoso, migliore, anzi incomparabilmente migliore, di quello schiavistico classico – e tanto basti! No, al comunista, al marxista Dante non bastava affatto.
E se in qualche caso può sembrare che la sua polemica anti-capitalista “ecceda” in unilateralità, lì c’è tutto il suo carattere, l’andare caparbio fino in fondo, senza lasciare al nemico da combattere il minimo riconoscimento.
Perché questo nemico (sappiamo tutti qual'è) vive un processo di decadenza storica nel quale non produce altro che regressione sociale, e da questa regressione sociale rischia di essere travolto lo stesso proletariato se non reagisce con tutte le sue forze, organizzandosi su basi autonome da ogni forma di compiacenza e di collaborazione con la classe e l’ordine capitalistico, e con il suo modo di pensare.
Lo grida anche la natura: non possiamo concedere altro tempo alle potenze distruttrici del capitale globale. Per madre natura e per la “questione ecologica”, che troppi compagni continuano a ritenere secondaria, Dante ha avuto un’attenzione costante, profondamente materialista, fatta di un materialismo sociale, storico, dialettico, che non ha nulla di ingenuamente naturalistico.
E impregna il suo "Natura Lavoro Società": tra questi termini egli si rifiutava di mettere anche le virgole da tanto li vedeva compenetrati “come articolazioni percepibili di un unico processo”.
Ed è proprio in nome della catastrofe incombente sull’ecosistema globale per effetto della rapacità cumulativa del capitale che Dante ha scritto lo scorso anno per la nostra tendenza "Il nodo ecologico nel marxismo del XXI secolo"; un testo in cui, sulla scia di Marx e di Engels, mostra come il capitalismo “è incompatibile con la vita della natura nel suo insieme”. E quindi “bisogna estendere la consapevolezza internazionale e internazionalista” che è necessario “far leva su ognuna delle contraddizioni poste dalla questione ecologica, battersi secondo una strategia e una tattica che portino l’uomo e la natura fuori dal dominio capitalista”.
Per lui non si tratta certo di una scoperta tardiva e recente, come per molti di noi, se è vero che ha lavorato intorno a questo tema da tempo, e ha fatto conoscere in Italia, con l’aiuto di Tiziano Bagarolo, il medico e rivoluzionario ucraino Podolinskij, che è considerato il padre dell’economia ecologica alla luce del pensiero socialista.
Ma il Dante Lepore editore e animatore di PonSinMor ha riservato un’attenzione particolare anche alle lotte operaie, da quelle alla Fiat (i 61 licenziamenti politici) a quelle alla Manifattura Legnano in val Chisone, ai proletari disoccupati come agli operai immigrati della logistica (senza dimenticare gli immigrati interni, lui che ha assaporato il pane amaro di essere un “terrone” a Torino).
E, anche attraverso i contributi di Loren Goldner, ha spinto i pigri ad occuparsi delle lotte negli Stati Uniti, in Cina, in Corea del Sud.
La lotta al capitalismo era, del resto, il suo terreno – un terreno oggi più che mai internazionale.
La lotta al capitalismo in tutte le sue dimensioni, nessuna esclusa: la lotta immediata e sindacale, la lotta politica, la lotta teorica, la lotta per l’organizzazione della nostra classe. Anche in questo egli rifiutava il riduzionismo.
Perché nella società comunista non dovrà sopravvivere nessun aspetto di quella del capitale. Nemico dei luoghi comuni, spregiatore di ogni forma di impostura (per questo amava Leopardi), Dante Lepore è stato un critico di quello che definiva “marxismo ecclesiastico” (dei meri ripetitori di formule) e del “marxismo accademico” svuotato di ogni contenuto e tensione rivoluzionaria.
La lotta al capitalismo, allo sfruttamento del lavoro e della natura propri del capitale, e al pensiero che legittima i rapporti sociali capitalistici – è questo il senso della sua vita. “Lottare per cambiare, conoscere per trasformare”, si intitola un suo saggio scritto per l’esigenza di formazione delle avanguardie di lotta e dei compagni, oggi fortissima, a cui Dante ha dato in più ambiti un valido contributo, da studiare.
Questo è il terreno su cui Dante è stato, dall’inizio alla fine della sua vita. Molti compagni e compagne lo hanno incrociato a Roma lo scorso 27 ottobre, al corteo organizzato dal SI Cobas contro l’infame decreto-Salvini, e a più d’uno era parso, nonostante la malattia, un po’meno scorbutico del solito, quasi contento per l’energia di lotta che dal corteo si sprigionava.
Ci rimarrà questo ricordo di te, di uomo e compagno vero.
Dante: anche noi, come te, viviamo per vedere “l’avvio di un processo di tanti nuovi Spartaco di un mondo ormai globalizzato” che spezzano le catene della nuova schiavitù, di ogni forma di schiavitù.